“I Pagliacci”: l’opera lirica di fama mondiale ambientata nel cosentino

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“I Pagliacci”: la celebre opera lirica di fama mondiale firmata Ruggero Leoncavallo ambientata nel paese calabrese di Montalto Uffugo

“E voi, piuttosto le nostre povere/gabbane d’istrioni, le nostr’anime/ considerate, poiché noi siam uomini/ in carne ed ossa, e che di quest’orfano/ mondo al pari di voi spiriamo l’aere!/“: sono questi cinque dei ventisei versi che costituiscono il prologo di uno tra i più celebri melodrammi di tutta la storia dell’opera lirica italiana, europea e mondiale: “I Pagliacci“, del compositore napoletano Ruggero Leoncavallo. La specifica particolarità che tuttavia avvicina, in questo preciso contesto, l’altisonante ed ampolloso mondo del melodramma alle nostre umili terre è la trama e l’ambientazione di quest’opera, che è costituita dal paesino di Montalto Uffugo, sito nella provincia di Cosenza, precisamente poco più a nord del capoluogo della provincia calabra confinante con la Basilicata; andiamo tuttavia ad analizzare con maggiore precisione questo bellissimo melodramma ambientato proprio, ricordiamolo, nelle nostre amate terre.

Va innanzitutto detto che la trama di questo melodramma non è oggetto di pura fantasia (come avviene invece in altri casi nell’ambito dell’opera), ma è bensì inspirata ad un fatto storico realmente avvenuto, del quale il giovanissimo Ruggero fu peraltro anche testimone oculare: egli si era infatti dovuto spostare proprio in quegli anni nel piccolo paese del cosentino a causa del precedente trasferimento in quel luogo del padre, il quale lì appunto esercitava la professione di pretore e, proprio in quel periodo, qui avvenne un terribile misfatto: un uxoricidio del quale furono specificamente soggetto alcuni attori di una compagnia errante di teatro; ed è difatti su un uxoricidio che si fonda peraltro la vicenda del melodramma del compositore napoletano. Ma andiamo ad analizzare, specificamente, la vicenda del melodramma di cui abbiamo parlato finora solo nei suoi aspetti generali: giova innanzitutto ricordare come l’opera sia costituita, strutturalmente, da un prologo e due atti, e che specificamente tale prologo abbia una funzione introduttiva, e che si svolga “a sipario calato“, in cui peraltro uno tra i principali personaggi del melodramma, Tonio, fa capolino dal telone del palcoscenico, mostrandosi al pubblico in costume da Taddeo, e presentandosi come “Prologo“, fungendo pertanto da portavoce dell’autore ed enunciando i principi informatori e la poetica dell’opera, stilando dunque così un vero e proprio manifesto poetico-programmatico della corrente verista che permea in toto l’opera lirica (“Si può? Si può?).

Il sipario si alza così su un bivio di una strada di campagna nel primo pomeriggio di un 15 agosto di un anno che può andare dal 1865 al 1870, al limitare del quale si scorge un teatrino di campagna che, proprio in quei giorni, è giunto nel paese del cosentino in questione al fine di rappresentare una spensierata commedia tradizionale che ha come oggetto le consuete vicende della commedia dell’arte: la prima donna della compagnia, Nedda, intrattiene tuttavia una relazione clandestina con un contadino del luogo, Silvio e teme, specialmente dopo una strana e spaventosa dichiarazione del marito ai popolani durante il primo atto dell’opera (Un tal gioco, credetemi, è meglio non giocarlo) che il marito sia a conoscenza della tresca (Qual fiamma avea nel guardo!“): il timore tuttavia, almeno per il momento, rimane infondato; non lo è più, tuttavia, nel momento in cui Tonio, segretamente innamorato di Nedda, svela al capobanda della compagnia il tradimento della moglie: ed è infatti a questo punto che allora l’attore, dopo un’iniziale esplosione di ira, si placa, e canta una tra le più belle e celebri arie per tenore, nota davvero in tutto il mondo: Vesti la giubba, e la faccia infarina, che si conclude con l’ancor più celebre Ridi, Pagliaccio, sul tuo amore infranto! Ridi del duol che t’avvelena il cor!, e cui segue poi anche uno tra i più bei intermezzi di tutta la storia del melodramma che ben rappresenta, con le sue sonorità intensissime e profondissime, il dramma che permea in profondità l’opera lirica in questione. Il sipario poi si rialza, e sul palco si ripresenta la scena dell’atto precedente; questa volta, tuttavia, la differenza fondamentale risiede nel fatto che sta per iniziare la commedia che la compagnia ha portato in paese, ed i popolani gridano cercando di avere il posto più vicino al palco, facendosi pertanto strada nella grossa calca che si è creata per l’occasione. La commedia inizia, e dopo una prima fase in cui tutto sembra procedere normalmente, entra in scena Canio, il marito di Nedda, nelle vesti di Pagliaccio che, secondo la vicenda narrata dalla commedia messa specificamente in scena dalla compagnia, ritorna a casa e trova la moglie con un amante: la vicenda narrata dalla commedia tuttavia, in questo specifico contesto, si identifica con la realtà: Nedda ha effettivamente l’amante e Canio vuole scoprire la verità immediatamente, a tutti i costi, ignorando di stare recitando, e negando pertanto quel precetto citato nell’atto precedente, per il quale: Il teatro e la vita non sono la stessa cosa!; ed agisce, nel caso specifico, dapprima con frasi dette e non dette, poi con insinuazioni sempre più incisive, e poi ancora con la bellissima aria No! Pagliaccio non son!, attraverso la quale diviene noto a tutti, pubblico compreso, che Fanno davvero? Sembrami seria la cosa, e scura!, come dice lo stesso coro di contadini e contadine quasi alla fine dell’opera.

Il susseguirsi degli eventi diventa sempre più concitato, ed il marito punta un coltello contro la moglie fedifraga, conducendo così la vicenda al culmine della sua gradatio tragica: sul palco della commedia, terrorizzato, sale il contadino Silvio che, nell’atto di difendere la povera donna sul punto di morire, viene repentinamente accoltellato dal marito di lei Canio che si avventa su di lui fulmineo, come una belva, e che grida tragicamente, dopo averlo ucciso, un: La commedia è finita!, sul quale cade peraltro, infine, inesorabilmente, il sipario. A chiosa dell’accurata disamina che è stato doveroso compiere riguardo a quest’opera, dobbiamo ricordare innanzitutto la grande notorietà che tale melodramma ha sempre riscosso nel mondo dell’opera lirica italiano e mondiale, divenendo infatti uno dei più rappresentati in tutto il mondo, ed essendo oggetto anche di una decina di incisioni discografiche, entrando anche nel mondo del cinema e dei cartoni animati, ed annoverando tra i suoi interpreti alcuni tra i più grandi nomi della storia del melodramma, tra i quali la Callas, la Caballe o la Freni nel ruolo di Nedda, e quelli di Pavarotti, Domingo o Carreras nel ruolo di Canio.

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