Sicilia, con la scusa dell’Autonomia ci hanno fatto la festa: i 69 anni dello Statuto

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Un’analisi rigorosa imporrebbe una svolta centralista. O almeno l’annessione al Portogallo

Il miglior modo per festeggiare il sessantanovesimo anno dell’Autonomia siciliana è battersi il petto e recitare il mea culpa: abbiamo trasformato una grande opportunità, il riconoscimento della nostra peculiarità identitaria, in una sorta di leva per forzare il sistema, nel disperato tentativo di trarre anche il più piccolo beneficio di bottega a dispetto del buon nome dell’isola. E’ così dalla notte dei tempi e anche l’appuntamento odierno, varato non a caso con opportunismo tattico dall’allora dominus Raffaele Lombardo, rappresenta la dimostrazione tangibile di quanto l’autonomia sia strumentale, funzionale ad una logica di consorteria.

In una regione popolata da forestali, dove 1742 dirigenti guidano la macchina governativa più importante dello Stivale, in una realtà che spende 680 milioni di euro l’anno per i dipendenti pubblici – laddove il Governo regionale mira per giunta a stabilizzare i precari – è fin troppo evidente che qualcosa non è andato per il verso giusto. Il problema di fondo è che gli investimenti dello Stato non vengono presi sul serio: essi vengono considerati finanziamenti pubblici alla stregua di un vuoto a perdere, non soldi dei contribuenti destinati a progetti specifici. Così, ad esempio, la #buonascuola in Sicilia non è quella della riforma, è quella che non cade a pezzi, quella in cui non devi chiedere la carta igienica al bidello, contrattando sui bisogni fisici manco fossero sostanze stupefacenti.

Foto LaPresse – Gugliemo Mangiapane

A furia di combattere la mafia con il culto dello Stato, questo Stato piuttosto evanescente ha perso credibilità. La realtà, mesta e triste quanto si vuole, è che la Sicilia contemporanea è un affresco meraviglioso e surreale del caos istituzionalizzato, e Crocetta ne è il suo più degno rappresentante. Guascone, capace di invettive fittizie, di battaglie anti-casta del tutto immaginarie, il Governatore guarda a Palermo come i vecchi sovrani d’un tempo: con spirito smaliziato, pensando che i tic del “suo” popolo debbano essere incarnati e assecondati, tanto a “iddi” bisognerà piacere.

Non mancano, come sempre, le velleità degli indipendentisti, segno che il salvinismo è un moto dell’anima e non un moto politico. A tirare le fila del populismo regionalista stamane sarà il movimento Sicilia Nazione, che battezzerà il progetto di un Patto federativo con l’Italia (sic). L’idea è quella di rivendicare l’autodeterminazione del popolo siciliano, contestando la classe dirigente nella speranza di trovare consenso nelle urne. Del resto Papa Francesco ha riconosciuto in settimana lo Stato palestinese, perché dovrebbe creare problemi con la Trinacria? E mentre a Roma viene ventilata l’ipotesi di un commissariamento, ché i conti pubblici iniziano a palesare un osceno guazzabuglio, a Palermo si saluta l’estate invocando diritti e libertà. Manco fossimo il Portogallo, una ridente realtà del passato destinata ad eclissarsi senza colpo ferire.

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