Resa a sinistra: Miliband provato. Ma per Civati è un mito

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La sconfitta dei laburisti apre la resa dei conti nella sinistra europea

Foto LaPresse - Chris Radburn/PA Wire
Foto LaPresse – Chris Radburn/PA Wire

Se questa è la direzione in cui va il mondo, qui è dove voglio scendere“. Qualora questa frase fosse confermata, qualora Ed Miliband si fosse davvero sbottonato con un’esternazione simile durante la notte delle elezioni, questo assunto entrerebbe di diritto nella storia della politica contemporanea, rappresentando l’epitaffio perfetto della sinistra tradizionale, quella dura e pura così come l’abbiamo sempre conosciuta.

Tony Blair, l’uomo che ha rotto con la tradizione marxista rivoltando il Labour britannico come un calzino, lo aveva anticipato prima delle elezioni: “quando una destra tradizionale si confronta con una sinistra tradizionale, il risultato è quello tradizionale: vincono loro“. Eppure il dato britannico conferma un trend che dovrebbe indurre gli elettori oltranzisti a riflettere: ovunque la sinistra si è radicalizzata, ovunque ha declinato la propria vocazione moralista a non cedere ai compromessi, essa – presto o tardi – o è mutata antropologicamente o è stata sconfitta.

Foto LaPresse - Francois Lenoir
Foto LaPresse – Francois Lenoir

La prova forse più eclatante viene dalla Grecia, dove Alexis Tsipras sta cercando una strategia d’uscita dalle promesse da marinaio elargite in campagna elettorale. Perché, come dicono nella City, se non riesci ad attrarre le simpatie degli investitori, più che essere un uomo tutto d’un pezzo sei un politico poco credibile. Non si governa a dispetto del portafogli, non si attuano delle ricette in barba alla stabilità finanziaria: la lezione di Londra è questa, se è vero com’è vero che ha vinto la ricetta dell’austerità, premiata dagli elettori sulla scia dei benefici vissuti nel Regno.

E c’è un che di miope nel ragionamento espresso dai vari Piketty e Stiglitz, allorquando sostengono che questa vittoria di facciata sia semplicemente il frutto delle concessioni vagamente clientelari disposti da Cameron. Un’analisi siffatta nega la possibilità che l’elettorato maturo abbia scelto in coscienza soluzioni alternative: è, insomma, il canto del cigno di docenti e intellettuali che non ne vogliono sapere di fotografare una realtà così asimmetricamente diversa da quella descritta nelle proprie opere.

Photo Roberto Monaldo / LaPresse
Photo Roberto Monaldo / LaPresse

Miliband, che aveva minacciato in lungo e largo le fasce medio-alte della popolazione, promettendo interventi di natura redistributiva e tasse alle stelle, pur non essendo una persona poco avveduta ha pagato lo scotto di questa miopia prospettica, l’incapacità di capire quanto il paese reale fosse distante dalla saggistica pop.

Eppure in Italia il movimentismo spagnolo di Podemos, congiunto al vigore ellenico di Varoufakis, alimenta i sogni e le utopie di una “cosa nuova”. L’uscita di Civati dal Partito Democratico avrebbe dovuto evidenziare le difficoltà dei renziani a tenere il bandolo della matassa, invece ha rivelato le fragilità di una minoranza che – non avendo un disegno comune – puntualmente si divide e si scinde in microrganismi, fino all’estinzione politica oltreché culturale.

Ezio Mauro, direttore di Repubblica ed intellò ante litteram, ha ammesso di non apprezzare Renzi, rivelando come la concezione della sinistra incarnata dal premier sia profondamente diversa rispetto a quella di Largo  Fochetti. Mauro, però, ha anche detto che probabilmente le sue idee, se applicate alla lettera, non avrebbero mai portato nessuno a Palazzo Chigi, non trovando terreno fertile nella società contemporanea. Se la sinistra vuole guidare il paese e non gigioneggiare in Transatlantico, questo magari non è un dato marginale, anche se Civati la prende sul personale.

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