A mettersi nei guai è stato lo stesso Roccella, con una deposizione tutto fuorché coerente e cristallina al al processo Piccolo Carro, ma soprattutto non fedele alla realtà
Il gup di Reggio Calabria ha rinviato a giudizio Roberto Roccella, il carabiniere in servizio presso il nucleo investigativo, divenuto il destinatario delle confidenze e delle soffiate di Giovanni Zumbo, ex amministratore di beni sequestrati, nonche’ antenna dei servizi, sorpreso a fornire informazioni a boss del calibro di Peppe Pelle e per questo condannato a piu’ di sedici anni di reclusione. Un rapporto su cui – stando alle indagini coordinate dal pm Giovanni Musaro’ e dal procuratore aggiunto Nicola Gratteri – Roccella non avrebbe detto tutto, ne’ detto tutta la verita’. Un’ipotesi rite nuta valida dal gup di Reggio Calabria, che ha disposto il processo per il militare, che il prossimo 6 ottobre dovra’ presentarsi di fronte ai giudici. A mettersi nei guai e’ stato lo stesso Roccella, con una deposizione tutto fuorche’ coerente e cristallina al al processo Piccolo Carro, ma soprattutto non fedele alla realta’. Confrontando le relazioni di servizio redatte da Roccella e i tabulati telefonici, gli inquirenti avrebbero infatti trovato la prova non solo che il rapporto fra Zumbo e il militare si sarebbe protratto ben oltre quanto dichiarato, ma anche che i due avrebbero attivato due schede telefoniche intestate a una terza persona “in modo da poter comunicare tra loro su argomenti piu’ riservati – si legge nel capo di imputazione oggi contestato al militare – eludendo eventuali operazioni di intercettazione telefonica”. Un quadro inquietante, ricostruito dagli investigatori confrontando pazientemente quanto messo nero su bianco da Roccella e i tabulati delle due utenze “citofono”, attivate poco dopo il rinvenimento dell’auto arsenale – in cui tanto il militare come Zumbo hanno avuto un ruolo – collocata sul tragitto che avrebbe dovuto percorrere il presidente Giorgio Napolitano, all’epoca in vista in citta’. Ma a mettere nei guai Roccella non sono state solo indagini tecniche su quelle due utenze – formalmente intestate a “Paola Zumbo – con cui i due erano soliti comunicare”. A pesare sulla posizione dell’indagato, e’ anche quanto emerso sui suoi rapporti con Zumbo, nel corso della lunga istruttoria dibattimentale del processo Piccolo Carro.