Sostegno Scolastico: la Cassazione stabilisce l’obbligo per la scuola ad osservare il Piano Educativo

StrettoWeb

di Federica Crea– Il diritto allo studio delle persone diversamente abili nel nostro paese è garantito in primis dalla Costituzione. Basti pensare che ai sensi degli artt. 2, 3 e 34 “La scuola è aperta a tutti” e l’art. 38, terzo comma, recita “gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione”. In particolare, riguardo agli studenti diversamente abili, la L. 517/77 prevede la figura dell’insegnante di sostegno, cioè un docente fornito di competenza specifica, specializzato e assegnato alla classe in cui è presente l’alunno con disabilità con il compito di attuare “forme di integrazione” e “realizzare interventi individualizzati in relazione alle esigenze dei singoli alunni”. La L. 104/92 definita Legge Quadro sui Diritti delle Persone Disabili, prevede una normativa inerente il diritto all’istruzione dei portatori di handicap proponendosi come finalità l’integrazione dei diversamente abili nelle classi comuni delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado attraverso lo sviluppo delle potenzialità della persona nell’apprendimento, nella comunicazione, nelle relazioni e nelle socializzazioni. Il sistema di inclusione scolastica dell’alunno con situazione di disabilità coinvolge, oltre alla famiglia e alla scuola, a livello territoriale anche gli enti locali e il Servizio Sanitario Nazionale, che concorrono con lo Stato nella predisposizione di adeguate misure di sostegno. Gli strumenti necessari all’effettiva integrazione degli alunni con disabilità sono la Diagnosi Funzionale, il Profilo dinamico-funzionale (che indica le difficoltà di apprendimento,le possibilità di recupero e le capacità possedute da rafforzare) a cui fa seguito la predisposizione del Piano Educativo Individualizzato (P.E.I) elaborato dal dirigente scolastico, dai docenti interessati, dai genitori e dal personale sanitario, che individua il percorso formativo-didattico ed educativo dell’alunno con disabilità con lo scopo di riscontrare le sue potenzialità e sulla base di queste costruire appositi programmi di autonomia, di socializzazione e di apprendimento. Esso viene redatto entro il 30 ottobre di ogni anno scolastico, dopo un periodo di osservazione di circa un mese. Nel P.E.I. viene previsto il numero di ore per il sostegno scolastico ritenuto necessario per l’alunno con disabilità grave ex art. 3, comma 3, della L. 104/92. Sotto questo profilo sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sent. 25011/2014. A seguito dei ricorsi presentati da un istituto scolastico, che non aveva concesso 25 ore settimanali di sostegno ad una alunna con disabilità – bensì prima 6 poi 12 -, e dal MIUR, condannato a risarcire i genitori dalla Corte di appello di Trieste, la Corte ha stabilito:“il P.E.I. per il sostegno scolastico dell’alunno in situazione di handicap, una volta elaborato con il concorso degli insegnanti e degli operatori della sanità pubblica, comporta l’obbligo dell’amministrazione scolastica – priva di potere discrezionale a rimodulare la misura del supporto integrativo in ragione della scarsità delle risorse disponibili per il servizio – di apprestare gli interventi corrispondenti alle esigenze rilevate”. Nella fattispecie la Corte constata che dalla normativa di riferimento si deduce “l’assoluta centralità del Piano educativo individualizzato, inteso come strumento rivolto a consentire l’elaborazione di una scelta condivisa, frutto anche del confronto tra genitori dell’alunno disabile e amministrazione; ed inoltre, l’immediato e doveroso collegamento, in presenza di specifiche tipologie di handicap, tra le necessità prospettate nel piano ed il momento dell’assegnazione dell’insegnante di sostegno” per cui viene prospettata una colpa all’amministrazione inadempiente rispetto a quanto stabilito dal P.E.I., la cui negazione delle ore di sostegno in esso previste configura nei confronti dell’alunno una lesione del diritto del disabile ad avere pari opportunità nella fruizione del servizio scolastico e una forma di discriminazione indiretta, ipotesi prevista dall’art. 2 L 67/2006. Sulla base di queste considerazioni la Suprema Corte applica l’art. 3 della L. 67/2006, in cui si individua il giudice ordinario quale competente a decidere in fatto di comportamenti discriminatori. Il ricorso promosso dall’amministrazione scolastica è stato, pertanto, rigettato. La Suprema Corte, nell’esercizio della propria funzione nomofilattica, cita non solo fonti nazionali ma anche europee ed internazionali interpretando la problematica a livello sistematico e ribadendo “la natura fondamentale del diritto all’istruzione del disabile grave”. Chi scrive esprime la propria preoccupazione per il bigottismo in seno alle istituzioni che hanno l’obbligo giuridico, nonché il dovere umano e morale, di tutelare i soggetti più svantaggiati della società. Queste discriminazioni poste in essere in uno Stato costituzionale qual è il nostro, sono particolarmente pericolose. Oggi sussistono, infatti, tante barriere non solo architettoniche ma soprattutto di tipo culturale, dovute alla carenza di informazione e manifesta incompetenza. È tuttavia apprezzabile l’iniziativa dell’A.D.D.A. (Associazione per la Difesa dei Diversamente Abili), con sede a Galatro, impegnata nel promuovere la conoscenza, presso i potenziali beneficiari, delle opportunità offerte dalle vigenti normative. Nella specie, urge considerare anche il fatto che, come sostiene l’Avv. Nocera, Vicepresidente del F.I.S.H. (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), “soprattutto nello Stato costituzionale l’ordinamento vive non solo di norme, ma anche di apparati finalizzati alla garanzia dei diritti fondamentali” tesi ad evitare un fallimento culturale affinché il diritto allo studio e all’integrazione scolastica dei diversamente abili sia vero e concreto e non ipocrita o solo accennato nelle norme.

Condividi