Libia, la polveriera esplode: verso una guerra pericolosissima ad un passo dalla Sicilia

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isisMessa in ombra dai fatti di Siria, Iraq e Ucraina, la crisi libica è andata via via aggravandosi nel corso degli ultimi mesi: il paese nordafricano ricco di petrolio è gradualmente scivolato nel caos più assoluto, e oggi l’Europa scopre che lo Stato islamico è giunto a issare il suo vessillo sulle coste del Mediterraneo. I leader globali, scrive il “New York Times”, farebbero bene a dare il massimo sostegno agli sforzi delle Nazioni Unite per trovare un accordo tra le tante fazioni che si contendono il controllo del paese.

Alcuni dei gruppi islamisti, però, hanno già dichiarato la loro fedeltà al vessillo dello Stato islamico e ne hanno adottato le stesse barbariche pratiche, come dimostrato dalla decapitazione di 21 egiziani di religione copta testimoniata da un breve filmato diffuso ieri. Nel video, uno dei tagliagole punta il coltello verso il Mediterraneo, e minaccia: “Conquisteremo Roma”.

Il filmato ha scatenato la reazione immediata del presidente egiziano, Abdel Fattah al Sisi, che in un intervento televisivo ha preannunciato una rappresaglia e ha ribadito ai cittadini egiziani in Libia l’appello a lasciare il paese. Un appello rivolto anche dal governo italiano ai propri cittadini, dato il precipitare del quadro della sicurezza. “E’ probabile che ad oggi ci siano piu’ affiliati a Daesh (lo Stato islamico, ndr) in Libia che in qualunque altro paese al mondo, fatta eccezione per la Siria e l’Iraq“, sostiene Christopher Chivvis, senior analyst presso la Rand Corporation di Santa Monica.

Il sostrato di estrema frammentazione politica, territoriale e sociale della Libia offre l’ambiente ideale per la propagazione del cancro dell’Isis, sottolinea Frederic Wehrey, senior associate per il Medio Oriente presso il Carnegie Endowment for International Peace. Ad oggi, sostengono gli analisti citati dal quotidiano Usa, l’Isis sta cercando il sostegno della galassia di organizzazioni militanti libiche per avere la meglio sui suoi principali rivali: al Qaeda e il gruppo salafita di Ansar al Sharia.

Nel frattempo le istituzione libiche elette, cacciate da Tripoli la scorsa estate, operano dalla città di Beida, col sostegno delle forze del generale Khalifa Haftar, che riuniscono quel che resta dell’Esercito nazionale libico. Bernardino Leo’n, inviato delle Nazioni Unite per la Libia, sta tentando di condurre un negoziato tra le varie fazioni sul campo per giungere a un cessate il fuoco e magari alla formazione di un governo di unità nazionale. La presenza dello Stato islamico, però, rischia di vanificare gli sforzi dell’Onu, e portare al partizionamento del paese e al tramonto di qualsiasi possibilità di ripresa economica. L’unica industria che vive un vero e proprio boom in Libia è infatti quella del traffico di esseri umani verso l’Europa, con modalità sempre più brutali, come dimostrato dall’annegamento di centinaia di migranti abbandonati alla furia degli elementi la scorsa settimana.

Se lo sforzo diplomatico in corso non otterrà il sostegno e gli effetti sperati nell’arco di alcune settimane, avverte Leo’n, la comunità internazionale non avrà forse più alcuna possibilità di influenzare gli eventi: “La Libia sta cadendo a pezzi; la situazione è disastrosa sul piano politico, finanziario ed economico. Non credo che il paese possa reggere un processo (negoziale, ndr) lungo mesi”. Senza uno sforzo massiccio e tempestivo, la parola potrebbe presto passare alle armi.

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