Ma che minchia di zona franca è quella di Catona?

StrettoWeb

di Kirieleyson – Appresa la notizia dell’assegnazione di ZONA FRANCA URBANA (ZFU) a  Catona, agenzie immobiliari  e proprietari di  appartamenti e negozi del quartiere  si sono  dati  a gioiosi festeggiamenti,   mentre  molte imprese edili, più pragmaticamente,  si sono immediatamente messe alla ricerca di terreni edificabili.

Infatti l’idea di non pagare IRPEF, IRES, IRAP, IMU e quant’altro, oltre ai contributi INPS,  è un’idea che farebbe giustamente far salire il tasso di adrenalina ad ogni imprenditore,  piccolo o grande che sia e lo  convincerebbe a traferirsi ovunque senza esitazioni.

Ma  nonostante, qualcuno ancora spera nell’arrivo di una nuova corsa all’oro,  come quella che avvenne per la conquista del west (durante la quale   sterminate carovane di  coloni  facevano a gara per  arrivare negli stati dell’Ovest davanti a tutti,   per potersi accaparrare i terreni migliori), stamattina pare che  gli entusiasmi si siano un po’ spenti.

Infatti  è sufficiente leggere il decreto del Ministero dello sviluppo economico del 13 gennaio,  che stanzia risorse economiche per alcune zone circoscritte appartenenti a regioni meridionali e insulari, chiamate per l’occasione zone franche tra cui, per l’appunto, Catona, per comprendere un po’ meglio la faccenda, facendola rientrare in un ambito meno fantasmagorico.

D’ora in avanti a Catona   –  vi sarà libera circolazione delle merci? Non si pagherà  la dogana? Andremo a fare il pieno perché non si pagheranno le accise sulla benzina? I residenti godranno stabilmente  di particolari privilegi? NO,  niente di tutto ciò.

Ma allora che minchia di zona franca è, quella di Catona?  

Questo bisognerebbe chiederlo a quei buontemponi dei dirigenti ministeriali che, periodicamente, inventano nuovi termini, in sostituzione di altri (vedi ICI, poi IMU) ed  introducendo magari qualche differenziazione a livello di lana caprina, solo   per  giustificare il loro lavoro, ma soprattutto per venire incontro alle esigenze di comunicazione di novità da parte  dei politici cui devono rispondere.  E così dopo gli accordi di programma quadro, i patti territorriali,  i contratti di programmai contratti d’area e chi più ne ha più ne metta, adesso sono state partorite le  zone franche urbane.

Ma parliamo in termini pratici e vediamo di quantificare i benefici che avranno le aziende con sede a Catona e tutte quelle che, provenienti da ogni dove,   vi apriranno una nuova sede grazie ai tanti benefici previsti:

  1. Ogni azienda potrà fruire di un massimo 200.000 euro (azzo!) e li potrà usare per ogni tipo di tassa, IMU compresa (però!) , nonché contributi  previdenziali per i nuovi assunti –  purché nel triennio non abbia già goduto di altre agevolazione (rientranti nel cosiddetto regime de minimis) – e potrà utilizzare i fondi per diversi anni, fino ad esaurimento  del credito accumulato.   Benissimo!
  2. Sono stati stanziati 7.800.000 euro. Ma sono tanti!
  3. Catona da sola (senza contare quindi le altre frazioni comprese nella zona franca),  che ha circa 14.000 abitanti , sulla base dei dati della  Camera di Commercio, dovrebbe avere circa un po’ più 1.100  imprese attive. E quindi?
  4. 7.800.000 euro diviso 1100 aziende  fa circa 7.000 euro per azienda. Se fanno domanda solo la metà delle imprese (ma perché dovrebbero fare domanda solo la metà?), l’agevolazione potrà arrivare a circa 14.000 euro. In tutto. Una boccata d’ossigeno!

Certamente, non è come fare 6 al superenalotto ma,  in una economia asfittica come la nostra, è un buona boccata di ossigeno,  ossigeno che potrà  alleviare il carico fiscale di tante aziende in difficoltà. E per tutto ciò un grazie va  al Governo ed uno al Governatore Scopelliti che ha sponsorizzato l’iniziativa.

Ma se, nello stesso tempo,  qualcuno ci racconta che questa è una “grande opportunità per gli imprenditori di Catona o di chi vorrà  ivi insediarsi (!), con  positive  ripercussioni  (!) indotte su questo territorio,  in cui le future amministrazioni potranno concentrare interventi (!) …grazie a questo strumento….”  i casi sono due:  o i suoi collaboratori non sono molti attenti a ciò che leggono e pertanto male gli  riferiscono,   oppure  quel qualcuno pensa (probabilmente a ragion veduta)  che la gente  creda ancora  a Babbo Natale.

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