Le stanze di Charlie Hebdo sono state scosse stamane dal fremito dell’integralismo islamico: sotto i colpi d’arma da fuoco, scagliati al suono blasfemo di “Allah Akbar”, giace buona parte della nostra civiltà. Parigi si è risvegliata bruscamente dalla favola del multiculturalismo di Stato e l’opinione pubblica sta assistendo esterrefatta ad un’aggressione che ha un chiaro carattere intimidatorio. Sì, perché lo scopo della banda armata che ha realizzato l’assalto non era soltanto quello di chiudere i conti con chi aveva sbeffeggiato il Profeta Maometto: era più sottile, mirava ad istituire un tabù per l’opinione pubblica occidentale.
Inaccettabile. Charlie Hebdo era, anzi è, una rivista scomoda, inopportuna, caustica, polemica. Una rivista pruriginosa che navigava nel politicamente scorretto per colpire l’immaginario collettivo. In pieno stile Voltaire.
Stéphane Charbonnier, ammazzato stamattina per i suoi “misfatti artistici”, era convinto della propria missione professionale: “Non ho paura delle rappresaglie. Non ho figli, non ho una moglie, non ho un’auto, non ho debiti. Forse potrà suonare un po’ pomposo, ma preferisco morire in piedi che vivere in ginocchio“. E’ forse questo il messaggio che si leva nel cielo d’oltralpe.
Nel 1981 un’altra battuta d’arresto: la perdita dei lettori, l’assenza di introiti pubblicitari, lasciò presumere che i tempi fossero cambiati. Fu soltanto l’intrapredenza di Philippe Val, Gébé e Cabu a portare, nel 1992, ad una nuova sfida editoriale, diversa dal passato, politicamente meno neutrale, più vicina alle posizioni di una sinistra graffiante e rivoluzionaria.
Le immagini di Maometto nudo, sulla sedia a rotelle, spinto da un ebreo ortodosso, immagini a dire il vero sgradevoli, portarono i fondamentalisti a gridare vendetta. Perfino il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, criticò pubblicamente la linea del giornale: “È davvero intelligente gettare benzina sul fuoco?” disse l’esponente politico del governo Ayrault.
Lo era. Lo era perché la missione della testata non era essere responsabili nei confronti dei delicati equilibri politici mondiali, ma informare i lettori, provocarli, indurli a riflettere, nel rispetto della legge francese: “se ci sono leggi diverse a Kabul o Riyadh non ci importa” chiosò il direttore Gérard Biard.
Oggi qualcuno ha imposto la sharia nella strade di Parigi: ad occhio per occhio, non risponderemo dente per dente. Continueremo a sfottere gli estremisti, perché la fede genuina è tutta un’altra cosa.