Reggio, Bentivoglio: “Finché sarà possibile sceglierò di non essere un testimone di giustizia”

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“Ho appreso dalla stampa dell’interrogazione parlamentare presentata sulle mie vicende all’attenzione del signor Ministro dell’Interno da parte dell’On. Fabio Rampelli, che ringrazio per la sensibilità dimostrata. In merito alla risposta fornita dall’On. Alfano mi preme specificare che, finché sarà possibile, sceglierò di non essere quello che la burocrazia ministeriale definisce “testimone di giustizia”” lo afferma l’imprenditore Tiberio Bentivoglio.

“Per quel che so, oggi, essere sottoposti al “programma speciale di protezione”, e quindi potersi tecnicamente dire “testimoni di giustizia”, non è una scelta né un traguardo. Significa, nella stragrande maggioranza dei casi, essere costretti ad allontanarsi dall’oggi al domani con tutta la propria famiglia in una località segreta, dover cambiare identità e abbassare, forse per sempre, le saracinesche della propria azienda. Significa, soprattutto, distaccarsi, spesso definitivamente, da tutti gli affetti e dalla propria città. Ho vissuto e vivo sulla mia pelle, come chi è sottoposto al “programma speciale di protezione”, la scelta di denunciare, di mettermi a servizio dello Stato e degli inquirenti e di dover entrare in un’aula di tribunale facendo nomi e cognomi di chi cerca di incrociare il tuo sguardo dalle gabbie. A tutt’oggi non ho avuto la sfortuna di dover entrare in questo regime di protezione e, pur sotto scorta e tra mille difficoltà, ringrazio Dio di avere ancora la possibilità di portare avanti le mie denunce rimanendo in Calabria, continuando a tenere in vita la mia azienda e, dove possibile, convincendo altri a denunciare”. 

“Ho appreso anche che il signor Ministro ha ritenuto di dover comunicare in diretta televisiva a tutta Italia, mafiosi compresi, l’importo corrisposto, fino ad oggi, in applicazione della legge n. 44/99, al sottoscritto e a mia moglie per l’attività di impresa. Avrei preferito che, allo stesso modo, il signor Ministro avesse comunicato all’opinione pubblica anche l’importo del danno complessivo, superiore ai due milioni di euro, causato dalla criminalità alla mia azienda e alla mia famiglia, il calo di fatturato e clientela che la mia attività ha subito a seguito dell’assedio della ‘ndrangheta e gli anni di ritardo con cui quelle somme ci sono state, nel tempo e dopo mille accertamenti, corrisposte”. 

“Avrei ancora gradito – conclude – che il signor Ministro specificasse che quelle somme, come la legge impone attraverso il deposito in Prefettura delle relative fatture quietanzate, sono state utilizzate esclusivamente per il ripristino, e purtroppo solo di una parte, della merce distrutta da due dei sette attentati subiti. Solo comunicando almeno questi ulteriori dati, il Ministro dell’Interno avrebbe potuto dire di aver fornito al Parlamento un quadro chiaro e completo della mia storia, capace di trasmettere, almeno in piccola parte, le sofferenze e ansie che io e la mia famiglia continuiamo a provare per aver scelto di stare ogni giorno dalla parte giusta”. 

 

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