“Le Iene” ad Arghillà, tra bugie e verità…

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Nell’immaginario collettivo consolidato nel tempo secondo antiche credenze, anche se di fatto non aderenti alla realtà, la iena è considerata una bestia immonda,  alla quale  si associano i concetti negativi di codardia, tradimento e opportunismo; spesso indicata nelle profezie come messaggera di morte e di sfortuna.

E come dire “nomina sunt omnia“,  il programma televisivo “le iene” risponde spesso a queste caratteristiche, facendo leva sui sentimenti della gente  specula su situazioni anche delicate privilegiando toni  sensazionali che esasperano la realtà delle cose e suscitano indignazione, rabbia-sgomento, con buona pace della ricerca della verità, che invece dovrebbe essere l’obiettivo primario del format.

Un  caso clamoroso, rappresentato in maniera completamente ingannevole, probabilmente  per impreparazione del giornalista, ma non da  solo, perché il programma è costruito da un gruppo di addetti, è stato quello relativo ai vari servizi sulle cellule staminali di certo Vannoni, risultato poi una vera e propria frode sulla pelle di persone malate, al contrario di quanto sostenesse Giulio Golia. Lo stesso giornalista, non pago di tanta notorietà, pensa di fare un altro scoop sensazionale con il servizio su Arghillà e, ahimè, molti di noi, cittadini del territorio reggino, ci caschiamo come allocchi. Sì perchè il servizio è stato fatto in maniera pessima. Compito del giornalista, inteso come vero professionista, dovrebbe essere quello di ricercare sempre e comunque la verità a qualsiasi costo e raccontarla tutta.

Vediamo un pò: la  situazione di degrado di Arghillà prima di tutto si sarebbe dovuta rappresentare nel contesto di un degrado che abbraccia purtroppo moltissime città d’Italia senza distinzione tra Nord, Sud e Centro come tutti i giorni raccontano i diversi notiziari.  Poi si sarebbe dovuto mettere in evidenza che gli abitanti di quegli appartamenti illustrati nel servizio, sono tutti abusivi perché quelle abitazioni  non sono mai state completate per il fallimento della Ditta costruttrice. Naturalmente questo è un fatto da condannare, che però è diffusissimo a tutte le latitudini e non si possono rappresentare gli abusivi come titolari di diritti su quei locali. Golia poi raggiunge l’apoteosi quando fa il confronto tra l’opera incompiuta ad Arghillà e i soldi spesi per la realizzazione del tapis roulant. A parte il fatto che le cifre non sono quelle snocciolate dal giornalista con la solita aria arrogante e supponente,  il confronto che fa è improponibile, perché si tratta di capitoli di spesa diversi, perché l’una opera non esclude l’altra, perché scale mobili, come quella già esistente, a Reggio Calabria, tenuto conto della collocazione geomorfologica della città, ne occorrerebbero altre e possono considerarsi non solo utilissime, ma assolutamente benefiche da tutti i punti di vista per lo sviluppo della città.

E noi, noi cosa facciamo, noi, cittadini reggini? Dovremmo innanzitutto evitare le sacche di degrado come quelle di Arghillà senza cercare consolazione nella condivisione con situazioni analoghe in altri luoghi, poi dovremmo rinviare al mittente il servizio di Giulio Golia, invitandolo a studiare, a studiare bene come si svolge il mestiere di giornalista e a ricercare la storia, quella vera, dei fatti che si vogliono raccontare.

Oppure la iena rimane sempre e comunque una bestia immonda, opportunista e traditrice?

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