Scala (Me), storie di “ordinaria burocrazia”…in Sicilia

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E’ molto difficile prestare attenzione alle storie degli altri, quando non ci toccano da vicino. A volte però è necessario fare uno sforzo in più e cercare di capire cosa succede intorno a noi, perché sinonimo delle dinamiche sociali che investono tutti. Questa è una storia che potremmo ribattezzare di “ordinaria burocrazia”. Sarete voi lettori magari a dirci se le difficoltà che vi stiamo per raccontare si verificano anche in altri contesti. Anzi, in questo caso, siamo proprio curiosi di conoscere il parere del lettore.

Giuseppe Barrilà è un ragazzo di 26 anni che acquisisce una licenza per la rivendita dei giornali nel comune di Torregrotta, in provincia di Messina. Poi però decide di spostarsi in un altro locale nella frazione di Scala, sempre ricadente nel suddetto comune. Da questo momento cominciano le sue difficoltà. Lo scrive in una lettera aperta:

“Il SUAP di Torregrotta mi inibisce la vendita dei giornali rifacendosi alla Circolare Regionale n°3 del 18 ottobre 2012, che invita i Comuni al rispetto del DA del 13 novembre 2002”.

Stiamo parlando della Formazione dei piani comunali di localizzazione dei punti ottimali di vendita di giornali quotidiani e periodici. Nella fattispecie:

“I commi 2 e 3 dell’art. 9 del succitato decreto 13 novembre 2002, dispongono che i comuni definiscono la pianificazione comunale di settore, sia per i punti di vendita esclusivi che per i punti di vendita non esclusivi, nel rispetto di un rapporto minimo tra famiglie residenti e punti di vendita non inferiore a 1.000 ed una distanza minima tra singoli punti di vendita, sia esclusivi che non esclusivi, non inferiore a 350 metri, calcolati per il percorso più breve”.

In sostanza questa nuova edicola non può vendere i giornali perché non rispetta il limite di distanza di 350 metri dall’altro punto vendita, sorto in precedenza, nello stesso paese.

E’ a questa norma dunque che si rifà la regione Sicilia e a sua volta il comune di Torregrotta. Nonostante invece il comma 4 dell’art.1 del decreto legge 1/2012 affermi che “I Comuni, le Province, le Città Metropolitane e le Regioni si adeguino entro il 31 dicembre ai principi e alle regole di cui ai commi 1, 2 e 3, che prevedono l’abrogazione:

  • Di limiti numerici, autorizzazioni, licenze, nulla osta o preventivi atti di assenso dell’amministrazione per l’avvio di un’attività economica non giustificati da un interesse generale;
  • Delle norme che pongono divieti e restrizioni delle attività economiche non adeguati o non proporzionati alle finalità pubbliche e perseguite;
  • Delle disposizioni di pianificazione e programmazione territoriale o temporale autoritativa con prevalente finalità economica o prevalente contenuto economico, che pongono limiti, programmi e controlli non ragionevoli, ovvero non adeguati ovvero non proporzionati rispetto alle finalità pubbliche dichiarate e che in particolare impediscono, condizionano o ritardano l’avvio di nuove attività economiche o l’ingresso di nuovi operatori economici ovvero alterano le condizioni di piena concorrenza fra gli operatori economici.

Questa breve parte più tecnica serve a farvi capire quanto sia complesso relazionarsi con la legislatura. La materia delle liberalizzazioni delle attività economiche è stata oggetto di una vasta produzione legislativa nazionale. Nel 2006, nel 2007, nel 2008, nel 2010, nel 2011 e nel 2012. Una produzione legislativa definita sempre urgente, in quanto ad averne bisogno sono i mercati, ma soprattutto i cittadini. Ma tale abbondante legiferazione genera anche parecchia confusione, talvolta perdendo di credibilità. In particolare, l’ultimo decreto, per intenderci quello del governo Monti, 1/2012, fa maggiormente riferimento alla normativa comunitaria inerente all’ambito specifico dell’attività di rivendita di giornali e riviste.

Tuttavia i precedenti che possiamo consultare, esempi resi noti dal Tar del Veneto, o da quello del Lazio, o dal Tar della Campania, e tanti altri ancora, ci dimostrano che la legislazione non viene intesa in maniera univoca. Anzi, il quadro che ne deriva è piuttosto incerto e confuso. Stiamo parlando, più in particolare, del recepimento delle normative, sia statali che europee. Ebbene è per questo motivo che quando Giuseppe ha fatto riferimento a tali casi analoghi al suo, nei quali si è riconosciuto il principio della libera concorrenza e, in virtù di questo, l’annullamento di ogni limite posto dalle distanze tra i punti vendita, si è trovato a cozzare con la circolare del 18 ottobre 2012 della Regione Sicilia.

Siamo andati a indagare le motivazioni del Suap (Sportello Unico Attività Produttive) di Torregrotta, proprio per capire l’iter seguito per questo caso. Alle nostre domande ha risposto la responsabile Vincenza Crisà. Quest’ultima ci ha raccontato di essersi rivolta al funzionario regionale Ribellino che si occupa nello specifico di questo settore. La responsabile del Suap, il 21 gennaio 2014, scrive per chiedere dunque “chiarimenti in merito alla disciplina delle rivendite di quotidiani e periodici alla luce dei principi della direttiva 2006/123/CE”. Ribellino, riconoscendo che tale problema di intendimento della normativa si è presentato in più parti della Sicilia, spiega alla Crisà che tale norma non è ancora stata recepita dalla regione. Se così fosse infatti, ci sarebbe una circolare atta a testimoniare l’adozione o meno di tale norma. Quindi nessuna totale liberalizzazione ancora è in atto per la Sicilia. Resta da capire allora una cosa: perché la regione Sicilia non si adegua al decreto legge 1/2012? Dobbiamo ancora una volta pensare che dipenda dallo “statuto speciale” ?

Il braccio di ferro è ancora aperto. Giuseppe non intende mollare, dice che continuerà la sua battaglia, che oltretutto gli sta procurando un ingente danno economico, derivante da un primo acquisto di giornali che non ha potuto vendere. Dal canto suo il Suap di Torregrotta, nella persona di Enza Crisà, suggerisce la via più semplice del sub ingresso. In altre parole, Giuseppe dovrebbe tornare al vecchio locale, quello dal quale aveva acquisito l’avviamento d’azienda. Qui infatti, il problema della distanza da rispettare con l’altra edicola non si porrebbe più. Quella licenza, infatti, non è stata un passaggio automatico per il titolare, quando ha deciso di spostare la propria attività nella frazione di Scala. Se all’apparenza le leggi dovrebbero tendere a chiarire e semplificare le procedure per il cittadino, ma anche per le amministrazioni, la realtà concreta è un’altra. E’ quella che trasforma il rapporto tra cittadino e comune in una guerra. Giuseppe infatti afferma che non intende cedere, vuole ottenere a tutti i costi l’autorizzazione che ritiene gli spetti di diritto. Il comune dimostra di attenersi a delle disposizioni regionali. Se in breve tempo non cambierà nulla nell’assetto dei piani di localizzazione, che eventualmente potrebbero rifarsi alla normativa europea e al decreto sulla liberalizzazione risalente al governo Monti, è prevedibile che si giungerà al mezzo del ricorso al Tar.

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