‘Ndrangheta, Lo Giudice shock: giovedì scorso ha tentato il suicidio con un sacchetto di plastica in testa

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Antonino Lo Giudice, il boss che ha iniziato a collaborare con gli inquirenti per poi ritrattare e fuggire dalla localita’ protetta dove si trovava, salvo poi essere riarrestato, giovedi’ scorso ha tentato il suicidio. Lo ha detto lui stesso deponendo in videoconferenza nel processo per la stagione delle bombe a Reggio Calabria del 2010. “Mi sento male, mi sento male – ha detto ad un certo punto – anche perche’ giovedi’ mi sono messo un sacchetto di plastica in testa e mi hanno salvato gli agenti della polizia penitenziaria“. I giudici del Tribunale di Catanzaro hanno quindi sospeso l’udienza per fare intervenire il medico della struttura in cui Lo Giudice e’ detenuto, che gli ha riscontrato un innalzamento di pressione. Quindi il medico gli ha somministrato un ansiolitico. Alla ripresa dell’udienza, la versione di Lo Giudice e’ cambiata radicalmente rispetto all’inizio. In apertura, infatti, il boss ha sostenuto di non essere stato in se’ quando ha iniziato a collaborare con i magistrati della Dda di Reggio Calabria e di essere stato indotto a farlo. Cose gia’ dette dopo la sua ritrattazione. Alla ripresa, invece, ha ribadito di essere stato il mandante delle bombe di Reggio Calabria sostenendo di avere deciso di attuare quella strategia dopo avere saputo da un avvocato e dal titolare di un rimessaggio di barche di Reggio Calabria che il fratello Luciano era stato arrestato per uno scontro interno alla magistratura reggina tra l’allora procuratore Giuseppe Pignatone, il suo aggiunto dell’epoca Michele Prestipino ed il pm Beatrice Ronchi ed i magistrati Alberto Cisterna, all’epoca alla Dna, e Franco Mollace, in quel periodo da poco trasferito alla Procura generale reggina dopo anni alla Dda, entrambi, secondo il pentito, amici di Luciano. Nino Lo Giudice ha quindi sostenuto di avere fatto mettere la prima bomba alla Procura generale per lanciare un messaggio a Mollace a non dimenticarsi del fratello, quindi la bomba sotto casa del procuratore generale Salvatore Di Landro perche’ ritenuto un ostacolo a qualsiasi eventuale tentativo di intervenire sulla detenzione di Luciano ed infine il bazooka fatto trovare nelle vicinanze della Dda come messaggio a Pignatone.

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