Reggio, la giornalista Teresa Munari ricorda il prof. Pasquino Crupi

StrettoWeb

IMG_20140313_174321Pasquino Crupi era un uomo che tutti ricordano, con affetto, stima, rispetto. Per quanto mi riguarda, anche soggezione. Era un intellettuale severo, arguto che imponeva grande attenzione per non valicare quella linea di frontiera che lui teneva volutamente  bassa per il divertimento di attirarti nella sua trappola dialettica.

La nostra ultima volta è stata ad un tè letterario, occasione che il Circolo Posidonia e l’associazione Valgallico avevano organizzato  per rilanciare la collana curata da Pasquino  sui padri  fondatori  del meridionalismo,  iniziativa che tanto l’aveva inorgoglito.

Sempre fedele  alla sua storia politica, comunque  autonoma rispetto agli schieramenti,  Pasquino ha sempre privilegiato gli interessi del territorio senza mai curasi delle bandiere. Era un meridionalista convinto, io aggiungo che Pasquino Crupi, rispetto agli storici come Gramsci, Salvemini, Dorso, Nitti, Sturzo,  era piuttosto un “nuovo meridionalista” alla Morandi per intenderci, il ministro che diede vita alla Svimez, l’associazione che dal 1946 in poi ha sempre coagulato energie intellettuali  nel tentativo di ricomporre il dualismo nord-sud attraverso analisi e terapie.

Pasquino amava la civiltà contadina, e non pensava che l’espansione industriale imposta come un diktat all’epoca della ricostruzione post-bellica, potesse  superare quel dualismo sulla cui analisi si erano impegnati prima di lui i padri storici del movimento.

La proposta politica di Pasquino non induceva all’accumulazione industriale né tanto meno lasciava pensare che solo l’industria avrebbe potuto consentire una soluzione definitiva al problema dell’arretratezza sofferta dal sistema economico meridionale. Alla capacità analitica di Crupi non sfuggiva la dimensione tipicamente macroeconomica con la quale le tesi sullo sviluppo dovevano confrontarsi e questo rende la sua “lezione meridionalista” comunque vitale.

Un amico e maestro che, come ha detto Paride Leporace sulle pagine de La Riviera, “sapeva sempre stupirci lui. Un uomo contro, sempre sul crinale della contraddizione”. Per il suo amico e collega, sono stati insieme a telekabul, Crupi era il più grande mappatore della letteratura calabrese. Autorevole critico e studioso, difficilmente non conosceva un personaggio, un autore, un movimento”. “Ho peregrinato con lui per le contrade della Jonica reggina, ricorda Leporace. Ovunque andassimo c’erano poeti che recitavano versi struggenti e divertenti. In una taverna su una fiumara mangiammo e bevemmo da giorno a notte confidandoci che erano stolti quelli che dicono che possono bere litri di vino senza provare ebbrezza”.

Insomma, diciamolo, la sagacia l’autoironia ed anche l’autorevolezza di Pasquino erano monumentali.  Anche quando si mostrava allergico a vestali e professionisti dell’Antimafia. Ricordo la sua stizza soprattutto verso le donne professioniste dell’antimafia, quelle che solo per questa attività,  la politica avrebbe voluto portare in parlamento. Adesso è successo e non voglio immaginare cosa avrebbe detto.

Pasquino non twittava, scriveva, infatti il  suo lavoro culturale si svolgeva attraverso la  parola scritta e sui giornali militanti.  Voglio ricordarlo per la sua Luna rossa, un corsivo quotidiano che scriveva su Calabriaora  centrato su uomini e cose della vita politica calabrese e nazionale, e, come vuole la tradizione satirica, quasi sempre girati contro i vincitori. Poche righe nelle quali rintrona la sintesi prodigiosa del prosatore di razza: all’opposizione, irriverente, sarcastico, umoristico.

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