Le indagini dell’ispettore FELICINO – N.29

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felicinoEra stata approvata da qualche anno la legge contro il “caporalato” e il Ministero del Lavoro, visto i disordini e le denunce di lavoro nero che riguardavano la cittadina di Rosarno, in Calabria, dove oltre un migliaio di lavoratori africani venivano sfruttati nella raccolta delle arance con paghe da fame, decide di mandare sul posto una task force di ispettori per combattere tali fenomeni delinquenziali. La stampa e i mass media in genere avevano parlato di evento storico, di resa dei conti contro il lavoro nero. “Tutte balle” pensò Felicino, nel leggere l’ultimo articolo sull’argomento. Non ricordava, neanche a sforzarsi, un solo caso in cui ci fosse stata la volontà politica di andare fino in fondo alla risoluzione di un problema. Era risaputo che noi Italiani partivamo sempre sparati con tante promesse, per poi perderci lungo il percorso e dimenticare l’obiettivo finale, quando si era in buona fede o peggio ancora cercare di giustificare il problema che volevamo risolvere ingigantendone le conseguenze. Era successo così con l’abolizione delle Provincie, con il finanziamento pubblico ai partiti, con la responsabilità dei magistrati e con tanti altri belli propositi. “Inutile farsi il sangue marcio” concluse tra se Felicino, riversando la sua attenzione sulle carte che aveva sulla scrivania e che riguardavano la lotta al lavoro nero in Calabria.

Si sapeva che lo sfruttamento era organizzato da imprenditori agricoli locali con il supporto di persone di origine africana che si occupavano di trovare i lavoratori e costringerli a turni di lavoro massacranti e a stipendi da fame. Il tutto nell’indifferenza più assoluta di chi sapeva, ma non parlava e ignorando i lamenti silenziosi degli schiavi del nostro secolo. Tra gli ispettori incaricati dal Ministero del controllo in Calabria, sul lavoro nero, sui versamenti contributivi e previdenziali e sulle norme per la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, c’era anche l’ing. Carlo Felicino.

Era già una settimana che la task force stava facendo sopralluoghi nella campagna Rosarnese portando alla luce molteplici situazioni d’illegalità. Quella mattina gli ispettori, compreso Felicino, si recarono in un’importante azienda agricola che si estendeva in una vasta area a sud-ovest della cittadina. All’arrivo in azienda, come gli uccelli scappano dall’albero al colpo di uno sparo, ci fu un fuggi-fuggi generale e disordinato, chi buttava la cesta per terra scappando a testa bassa, chi scendeva dall’albero saltando con il rischio di rompersi l’osso del collo, chi trascinava il compagno distratto che ancora non aveva capito la situazione. Tutti scappavano all’impazzata per allontanarsi il più possibile e far perdere le loro tracce. In quella generale confusione, il proprietario, con le mani alzate e brancolando, urlava e inveiva contro gli ispettori, cercando così di aumentare la confusione e agevolare la fuga dei lavoratori. Oltre agli ispettori che erano entrati in azienda, c’era un nutrito gruppo di carabinieri che avevano circondato la proprietà, così tutti i lavoratori furono fermati e accompagnati in un grande locale adibito a magazzino per essere interrogati. Mentre i suoi colleghi interrogavano i lavoratori e accertavano il rispetto delle norme sul collocamento, l’ispettore Felicino si fece accompagnare dal proprietario dell’azienda nei locali adibiti a servizi igienico-assistenziali, per verificare se gli stessi erano sufficienti per numero e se rispettavano i requisiti minimi d’igiene. Nell’avvicinarsi a tali locali si percepiva la loro presenza, prima che dalla vista, dall’odore fetido che si avvertiva nell’aria. Tutti gli ambienti si presentavano in uno stato di sudiciume indescrivibile. I gabinetti erano sporchi, incrostati da escrementi e con le pareti coperte da muffe. Le docce erano state realizzate in un unico ambiente, con pezzi di “sistola” e nello spogliatoio un centinaio di chiodi attaccati alle pareti fungevano da appendiabiti dai quali pendevano stracci di vestiti che in alcuni punti sfioravano il sudicio ammucchiato sul pavimento in prossimità delle pareti. Felicino provò vergogna per il suo Paese che permetteva quelle situazioni e un senso di nausea verso chi sfruttava quelle situazioni per arricchirsi e verso chi permetteva quello stato di cose. Un nodo gli attanagliò le budella con il risultato di provare una sgradevole sensazione di stare, forse, dalla parte sbagliata.

Quindi girò lo sguardo verso il proprietario dell’Azienda e, senza profferite parole, lo fissò dritto negli occhi con disprezzo. Quello, baldanzoso e arrogante più per accusare che per giustificare, disse “E’ colpa di questi negri, che sono abituati a vivere nel sudicio. Sono degli ingrati, li sfamo e non sono mai contenti. Sicuramente, è qualcuno di loro che mi ha denunciato”. Felicino pensò che era inutile controbattere a tale stupidità. Tirò fuori il blocco dei verbali e contestò, in attesa di altri riscontri, la violazione all’art. 63, comma 1) in combinato disposto con l’art. 64, comma 1) del D.Lgs 81/08, in quanto per i servizi igienico assistenziali non erano rispettati i requisiti di cui all’Allegato IV dello stesso decreto legislativo. Nel consegnare il verbale spiegò che la sanzione per tale violazione prevedeva l’arresto da due a quattro mesi o l’ammenda da 1.096,00 a 5.260,40 euro.

A cura di Studio SGRO

e-mail:ispettorefelicino@gmail.com

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