Nuovo caso di sfruttamento alla Foxconn, ma questa volta nel cuore dell’Europa, in Repubblica ceca. Nel mirino, – come riporta l’Agi – l’impianto di Pardubice dove, secondo diversi media tedeschi, l’appaltatrice taiwanese che assembla prodotti per Apple e HP avrebbe ristabilito le stesse, durissime condizioni di lavoro che caratterizzano le fabbriche cinesi: turni di 12 ore, ritmi pressanti che impediscono pause, salari sopra il minimo sindacale, ma piu’ bassi della media. Gli impiegati di Pardubice sono perlopiu’ persone provenienti dal Vietnam, dalla Bulgaria e dalla Mongolia che non conoscono la lingua e meno ancora i propri diritti e le leggi locali.
Una “schiavitu’ moderna” che rischia di contagiare l’Europa, mettono in allerta gli osservatori.
Nei giorni scorsi l’associazione australiana Walk Free Foundation ha pubblicato il primo ‘Indice della schiavitu’ mondiale’ da cui e’ emerso che nel mondo 29,8 milioni di persone vivono in condizioni di “moderna schiavitu'”, una condizione che comprende fenomeni come il lavoro forzato e la tratta degli esseri umani. Con 8.000 “schiavi” l’Italia e’ il Paese dell’Europa centro-occidentale con il rischio piu’ alto, ma viene dietro a Bulgaria, Grecia, Croazia e a tutta l’Europa orientale.
La chiamata a Bruxelles
“Questo tipo di schiavitu’ moderna non e’ piu’ cosi’ rara nell’Eurozona” spiega ad AgiChina24 Jutta Steinruck, europarlamentare del Gruppo di Alleanza progressista socialista e democratica e membro del Partito socialdemocratico tedesco.
“Lunghe catene di subappalto oltre i confini degli stati membri e i paesi terzi rendono difficile la tracciabilita’ delle relazioni di lavoro, situazione che favorisce gli abusi. Molte societa’ traggono vantaggio dalle condizioni precarie di alcuni stati membri e sfruttano i lavoratori”. E’ questo ad esempio il caso della Germania, dove la parlamentale vive e lavora: “Molti di questi casi sono stati registrati nell’industria edilizia, dell’assistenza sanitaria e della carne, dove i migranti lavorano anche per 1 euro l’ora. Ci imbattiamo in finti auto-impieghi, lavoro nero, irregolarita’ nell’assicurazione sanitaria, sistemazioni oltre il limite della vivibilita’ e molto altro”.
Sindacati: il problema e’ anche italiano
“Non mi meraviglio della Foxconn” commenta ad AgiChina24 Fausto Durante, responsabile Segretariato Europa CGIL Nazionale, secondo cui il Belpaese e’ protagonista di non pochi abusi in stile Foxconn. “L’Europa non ha un quadro di garanzie tali da garantire in modo inequivocabile il diritto del lavoro e di un’equa retribuzione. Succede, dunque, che per esempio abbiamo lavoratori del settore delle costruzioni che dalla Romania, Bulgaria vengono a lavorare in Italia assunti da aziende italiane che pero’ applicano il contratto rumeno. E quindi questi lavoratori costano un terzo di un italiano“.
Un esempio? “Alcune aziende in Friuli e in Veneto hanno squadre di lavoratori dell’est Europa con contratti molto lontani da quelli italiani” dice Durante, che aggiunge: “Siccome non c’e’ un quadro normativo certo, posso chiedere a un lavoratore italiano di essere assunto presso un’azienda di costruzione che ha sede a Bucarest e farlo lavorare in Italia con un contratto di lavoro rumeno. Solo che questo lavoratore italiano che vive a Chieti, ma e’ assunto a Bucarest costa un terzo di chi vive e lavora a Chieti“.
Gianni Alioti, dell’Ufficio Internazionale Fim-Cisl ricorda quello che definisce “il caso piu’ eclatante“, che ha interessato tempo fa la Grecia e di cui e’ stato protagonista “una serie di imprese transnazionali tra le piu’ importanti del settore alimentare“. Questi grandi nomi dell’alimentare, tra cui figurava anche la Nestle’, spiega Alioti ad Agichina24 “proposero ad Atene di creare contratti di lavoro a tempo parziale per tre, quattro giorni a settimana e pagati 250 euro al mese”. “E’ scandaloso il fatto – continua – che si arrivi a proporre come garanzia di investimenti nel Paese una simile riduzione degli standard di produzione sociale o di tutela salariale e contrattuale“.
Per Alioti nel caso della Foxconn e della Grecia “non si puo’ parlare esattamente di schiavitu’, ma di forme di sfruttamento estremo. E’ un ritorno all’800″. “Purtroppo l’Italia non e’ immune da situazioni di lavoro schiavistico o semischiavistico ed e’ bene dare il giusto peso alle parole. Il lavoro schiavistico c’e’ realmente nella filiera del pomodoro, degli agrumi, dell’installazione del fotovoltaico. Parliamo di immigrati sfuggiti alla miseria del proprio Paese e inseriti nella filiera gestita anche dalla mala. Molti di loro sono stati aggrediti, mentre ad altri hanno sparato“.
“Questa Europa non va bene” dice Durante. “Gli stranieri – continua – non sanno cosa firmano. E’ un’emergenza che rischia di scoppiare in un problema sociale rilevante. I muratori stranieri nei cantieri italiani non hanno consapevolezza dei propri diritti. E si prestano a tutto”.
“Un’ Europa che permette queste cose, che continua a consentire lo sfruttamento e la competizione basata solo sul costo del lavoro, non funziona ne’ in termini di diritti ne’ di crescita.
E’ vero che alcune aziende ritenute colpevoli di sfruttamento utilizzando i confini contrattuali nazionali sono state condannate, ma la verita’ e’ che gli abusi sono destinati a moltiplicarsi finche’ non ci sara’ un quadro normativo fermo“.
Durante continua: “vengono sfruttate le maglie troppo larghe della legislazione europea per permettere episodi di dumping e sfruttamento salariale obbligando quei lavoratori alle loro condizioni. E questo sta provocando il crollo della tenuta del sistema contrattuale europeo e l’aumento della concorrenza sleale”.
La proposta all’Ue
“Ci stiamo battendo – spiega Durante – perche’ si intervenga con una normativa che ponga limiti alla prepotenza delle multinazionali. Abbiamo gia’ cominciato a discutere insieme coi membri sensibili del Parlamento europeo di una normativa che sfoci in una direttiva sulla consultazione, partecipazione e coinvolgimento dei lavoratori su scala europea e che presupponga anche una comune soglia salariale. Ovviamente sara’ stabilita depurandola da tutti i dati relativi all’inflazione, dalla situazione economica del singolo paese, ma stabilendo un margine al di sotto del quale non si possa scendere e che sia omogeneo sia per l’Italia che per la Repubblica Ceca o per la Germania. Un costo per ora di lavoro che permetta di sfamare la propria famiglia“.
Anche Steinruck non ha dubbi: l’Ue non puo’ piu’ restare a guardare: “Ho formulato delle domande scritte e le ho portate alla Commissione europea e al Consiglio. Le risposte dovranno essere fornite direttamente da Bruxelles. Inoltre ho avanzato la richiesta di attuare provvedimenti concreti da parte dell’Ue per combattere tali pratiche, introducendo sanzioni contro le societa’ europee che infrangono le regole della competizione.
Infine ho chiesto alla Commissione cosa pensa di fare per proteggere i lavoratori di paesi terzi. Finora non ho ancora avuto risposte, ma resto in attesa”.