Lampedusa, il medico-eroe malato che ha visto l’orrore

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Appena un mese fa è stato colpito da un’ischemia cerebrale che gli ha bloccato parte del corpo e della lingua, ma Pietro Bartolo, granitico responsabile sanitario di Lampedusa, non si ferma da quattro giorni e oltre ad avere salvato una profuga data per morta, ha ispezionato gli oltre 130 cadaveri ripescati dal mare dopo il naufragio di giovedì. Parla lentamente, con difficoltà, ma non si sottrae all’intervista e spiega che non poteva ”restare in malattia mentre un barcone è naufragato a pochi metri dalla costa con oltre 500 persone a bordo”. Anche oggi è sul molo Favaloro ad aspettare l’arrivo degli altri cadaveri recuperati in fondo al mare e ormai in stato di decomposizione. Indossa i guanti bianchi e la casacca azzurra dei medici. “Quanto dolore, quanto orrore”, continua a ripetere come un mantra.

Bartolo è stato colpito dall’ischemia cerebrale transitoria lo scorso 2 settembre mentre era al lavoro al Poliambulatorio. “Stavo seguendo la vicenda dell’allarme antrace al Comune – racconta all’Adnkronos – quando non riuscivo più a parlare, avevo difficoltà serissime. Avevo la pressione del sangue altissima, ho preso delle gocce, ma non miglioravo, così sono stato portato in elisoccorso all’ospedale di Palermo dove sono rimasto ricoverato per una settimana nell’unità di neurologia. Purtroppo l’ischemia ha lasciato brutti segni. Da un lato un’ipostenia alla parte sinistra del corpo e dall’altra difficoltà di linguaggio”.

Giovedì mattina Bartolo è stato chiamato dalla Capitaneria di porto. “Dottore, c’è stato un naufragio vicino all’isola dei Conigli, può venire a darci una mano?”. E lui, nonostante le mille difficoltà motorie e di linguaggio, si fa accompagnare al porto. “Dopo poche ore – racconta ancora commosso – arriva il primo barcone di un lampedusano con 47 profughi a bordo, tra cui una donna. Raccontano che a bordo c’erano 500 persone e che sono finite tutte in acqua. Capisco che le dimensioni del naufragio sono apocalittiche. Subito dopo arriva un peschereccio, a poppa c’erano quattro cadaveri di profughi tirati su”.

Tra i quattro cadaveri a poppa del peschereccio c’era anche una giovane donna dai tratti gentili. “Forse un’eritrea – racconta ancora Bartolo – Mi sono avvicinato e le ho toccato il polso. Ho fatto un sussulto, nonostante non avesse battito, però qualcosa mi faceva capire che c’era una flebile possibilità di riuscire a rianimarla. Così l’ho fatta portare immediatamente al Poliambulatorio e qui è stata rianimata per circa trenta minuti. Alla fine, il rianimatore è riuscito a farle tornare il battito quasi normale. Un miracolo. Davvero”. La ragazza è stata così trasportata in elisoccorso a Palermo per una brutta broncopolmonite perché aveva bevuto non solo acqua del mare ma anche gasolio. “Sono davvero felice di essere riuscito a salvare almeno una persona – dice ancora emozionato – Perché per tutti gli altri arrivati sul molo non c’era più niente da fare. Alla fine abbiamo contato 111 cadaveri in poche ore. Tra cui quattro bambini”. Bartolo si ferma nel racconto perché si commuove. Ha gli occhi lucidi al ricordo.

“Io difficilmente in tutti questi anni ho pianto per casi di lavoro – dice ancora – Ma questa volta è stato diverso. Non potete immaginare cosa si provi a tenere tra le braccia un batuffolo di neppure un anno o due morto. Quei capelli ricci neri, la pelle nerissima e lucida. Sembrava che dormisse. Invece era morto. Quanto dolore. Mi vergognavo ma non riuscivo a trattenere le lacrime”. Bartolo da quella mattina non si è mai fermato.

E’ stato proprio lui ad eseguire l’ispezione cadaverica sui 111 corpi, che oggi sono aumentati ancora. “Alcuni erano nudi, altri vestiti, quando sono stati recuperati – racconta – Quanto strazio. E’ stato terribile. L’hangar con quei 111 sacchi blu e verdi che dovevano essere ispezionati è stato un incubo”.

Pietro Bartolo nel frattempo riceve una telefonata. “Devo scappare, hanno trovato altri cadaveri – dice – Purtroppo questa conta dell’orrore non si ferma più”. Fuori dal molo Favaloro c’è il suo fisioterapista che lo redarguisce duramente: “Dottore, da quattro giorni non viene a fare la fisioterapia. Sa che deve farla ogni giorno. Non può mettere a rischio la sua vita”, gli dice. Bartolo annuisce ma continua a indossare i guanti bianchi e a sistemare nei camion frigorifero posizionato sul molo Favaloro i cadaveri. Ormai corpi gonfi, inanimati, decomposti.

In passato, il responsabile sanitario Bartolo, durante un’altra ondata migratoria a Lampedusa, quella del 2011, aveva fatto nascere una bambina su un barcone pieno zeppo di immigrati. “La donna si è sentita male durante il viaggio – ricorda – le si sono rotte le acque e sono iniziate le contrazioni. Così l’abbiamo raggiunta con un elicottero in alto mare, mi hanno fatto scendere fino al barcone e poi ho fatto nascere la bambina. Ancora mi viene la pelle d’oca a ripensarci”.

Bartolo ricorda poi un altro tragico sbarco. Un gruppo di 26 profughi morì per asfissia nella botola di un barcone. “In questi anni ho visto cose disumane – dice lentamente – ecco perché non potevo restare a casa a fare la fisioterapia mentre c’era gente che moriva…”.

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