Chi era Adriano Olivetti, protagonista della fiction di Rai Uno

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Già, chi era Adriano Olivetti? La fiction “Adriano Olivetti – La forza di un sogno”, andata in onda lunedì e martedì sera e interpretata da Luca Zingaretti,  ha riportato alla memoria degli italiani questa figura. Imprenditore piemontese, Adriano Olivetti è uno dei protagonisti del nostro Novecento. Uomo d’azienda, egli fu anche editore, intellettuale, politico e urbanista.

Rai Uno ci ha raccontato, in due serate, la storia di un uomo che ha concepito l’essere fabbrica in maniera del tutto rivoluzionaria. Con la mente rivolta al miglioramento delle condizioni di lavoro degli operai, fin da piccolo, Adriano cercò di portare a termine la sua missione. Nato ad Ivrea l’11 aprile del 1901, morto  il 27 febbraio del 1960, Olivetti è stato in grado di ideare un progetto sociale che si rivela innovativo ancora oggi. Riuscì a creare le condizioni favorevoli per accrescere il profitto della propria azienda, ma conciliandolo con un rinnovamento profondo e del rapporto tra operai e imprenditore, e del rapporto tra fabbrica e città.

Dopo la fine della guerra, nel 1945, Adriano torna nella sua città con idee nuove. Il principio che ora segue è quello secondo il quale il fine dell’impresa non può essere soltanto il profitto, ma anche il bene della comunità. E’ per questo motivo che Adriano Olivetti investe moltissimo sulla motivazione dei suoi dipendenti, in quanto è fermamente convinto che solo questa può legare veramente gli operai alla vita dell’azienda. Tra l’altro la fabbrica, che tra gli anni Trenta e i Sessanta divenne leader in Italia e all’Estero nel settore delle macchine per scrivere, da calcolo e dell’elettronica, era dotata anche di strutture assistenziali e ricreative come biblioteche, mense, asili nido, ambulatori medici.

Il modello Olivetti, al contrario di quanti all’epoca prevedevano un suo fallimento, si rivelò come un’ottima ricetta di successo, facendo innalzare in poco tempo la produttività e il volume delle vendite. La macchina da scrivere “Lettera 22”, disegnata da Marcello Nizzoli nel 1950, viene definita da una giuria internazionale ‘il primo dei cento migliori prodotti degli ultimi cento anni’. E’ la prima volta in Italia che si introduce il design e l’estetica come aspetti fondamentali del prodotto industriale.

La fabbrica moderna e l’attenzione verso l’operaio

Olivetti  riuscì a realizzare una fabbrica moderna, costruendo anche veri e propri quartieri per i dipendenti, continuando a dare priorità a una convivenza pacifica tra capitale e lavoro. E’ in quest’ottica che gli operai della fabbrica godono di benefici straordinari per l’epoca in cui vivono, con salari superiori del 20% alla base contrattuale, con nove mesi di maternità retribuita per le donne, con il sabato libero e una riduzione dell’orario di lavoro settimanale. Per questo motivo la fabbrica Olivetti non conobbe scontri. Adriano guardava al lavoratore come uomo e cittadino e teneva molto in considerazione tutta la rete di relazioni umane che esistono all’interno del territorio in cui il sistema industriale opera.

L’operaio, secondo Olivetti, non deve alienarsi per poter produrre di più, ma partecipare, sentirsi coinvolto e sentirsi parte di una crescita sociale all’interno dell’azienda. In altre parole, il lavoratore deve sentirsi parte attiva di un progetto comune. Ma l’attenzione che Adriano Olivetti riserva ai suoi dipendenti è anche di tipo intellettuale: egli cura moltissimo i rapporti con sociologi, architetti, scrittori, scienziati della politica e dell’organizzazione industriale, psicologi del lavoro. Da Franco Momigliano a Paolo Volponi, da Giudici, Pampaloni, Bobi Bazlen, Luciano Gallino, GiorgioPuà, Fortini a Francesco Novara, Bruno Zevi passando per Fichera, Soavi, Ottieri, Luciano Foà, Lodovico Quaroni, fino a Furio Colombo, Franco Ferrarotti, Tiziano Terzani. Tutte figure che arricchivano il bagaglio culturale di tutta la fabbrica, all’interno della quale il lavoratore poteva pure concedersi delle pause per apprendere e far crescere la propria cultura.

Insomma, Adriano Olivetti fu un vero e proprio innovatore, che amava l’architettura e l’urbanistica e che si fece promotore di un nuovo modo di vivere la fabbrica. Che poneva al centro della sua vita l’agire laddove il parlare si rivelava superfluo. E, nonostante i suoi viaggi americani, l’impegno antifascista, la brillante intuizione elettronica che portò il marchio allo splendore internazionale, Adriano Olivetti non perse mai di vista i valori culturali e il rispetto della dignità della persona.

L’avanguardia delle macchine Olivetti

L’Olivetti Elea 9003

Nel febbraio del 1960 Adriano Olivetti perde la vita, improvvisamente, a bordo di un treno che viaggiava da Milano a Losanna. Il suo modello da quel momento in poi subisce una brusca battuta d’arresto, così come il cammino informatico dell’azienda Olivetti. Ricordiamo infatti che, l’Olivetti Elea 9003 non è soltanto il primo calcolatore elettronico italiano, ma anche uno dei primissimi al mondo costruito interamente a transistor, con la possibilità di operare in multiprogrammazione e molteplici periferiche. Il costo di un’Elea è dell’ordine di 800 milioni di lire intorno agli anni Cinquanta. Il primo sistema venne installato alla Marzotto di Valdagno nell’agosto del 1960. Da quel momento in poi le aziende italiane come Monte dei Paschi di Siena, Fiat e Cogne, iniziarono ad informatizzarsi grazie all’Olivetti. Negli anni successivi alla morte di Adriano l’azienda conobbe una forte crisi finanziaria, tanto da dover ricorrere a finanziamenti esterni. Nel 1964 il controllo viene assunto dal cosiddetto Gruppo di intervento, costituito da Fiat, Pirelli, Centrale e da due banche pubbliche, Mediobanca e Imi.

Cosa resta di Adriano Olivetti?

Molti sono stati i giudizi spesi su di lui e sulla Olivetti. Uno su tutti però sembra prevalere. “In Olivetti ci si sentiva uomini liberi”. Di fronte alle difficoltà del nostro tempo è importante ricordare figure come quella di Adriano Olivetti. Un uomo che non ha mai smesso di “cercare qualcosa in più”, come suggerisce anche una dichiarazione rilasciata dalla figlia Laura. Adriano non era mai felice, perché era sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo, di illuminante. Il suo modello di impresa, però, non fu ereditato, come era giusto che fosse. Di Adriano ci resta dunque la figura di uomo e imprenditore esemplare, dalla quale sarebbe indubbiamente utile trarre quella forza d’intenti, quella determinazione e quell’attenzione verso l’essere umano e la bellezza, che innalza anche il più duro degli ambienti di lavoro verso una concezione altissima.

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