Il Cavaliere ed il poker

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Il-Cavaliere-ed-il-pokerVerso la fine del XX secolo, in Italia si assistette all’apparizione di un player eccezionale, assolutamente fuori dal comune.

Questi era costruttore d’immobili destinati al gioco e proprietario di una televisione specializzata in trasmissioni sul gioco del poker.

Inoltre era egli stesso un appassionato del gioco (ma solo se era lui a vincere) e,  per un certo periodo, era riuscito  a piazzarsi in diversi eventi, assurgendo agli onori della cronaca e finendo sulle copertine di molte riviste.

Amava farsi definire come il player che si era fatto da sé.

Ma qualcuno, evidentemente invidioso, si mise ad indagare sulla sua vita e insinuò addirittura che tante sue vittorie non erano così limpide come egli voleva far credere, bensì frutto di una sistematica condotta fraudolenta.

In particolare,  quei prezzolati detrattori, quasi tutti comunisti, asserivano che il  Cavaliere avesse tra i suoi  consulenti un avvocato  specializzato nello scovare dealer compiacenti che, al momento opportuno e dietro lauto compenso, erano in grado di manipolare il mazzo in suo favore.

In ogni caso il Cavaliere mieteva successi a più non posso.

Ad un certo punto però, a causa dell’imprevista e repentina  emigrazione in Tunisia del suo migliore sponsor, la situazione iniziò a farsi difficile.

Ma il Cavaliere era pieno di risorse e gli venne in mente grandiosa:  perché non fare una squadra invincibile e con quella scendere in campo?

Il Cavaliere,  per squadra invincibile intendeva un gruppo di soggetti che potessero avere interessi anche diversi, ma tali da essere di supporto ai suoi personali.

Contattò allora tutti i suoi amici e fece contattare anche gli amici degli amici, riuscendo a creare un gruppo che avrebbe dovuto consentirgli di non perdere tutto ciò che aveva conquistato fino ad allora ed, eventualmente, di fare ancora di più.

Concepì così che si sarebbe potuto organizzare tornei, con le regole che più gli facevano comodo, con i direttori di gioco al suo libro paga, con i dealer opportunamente ammaestrati, possibilmente con giocatori a lui graditi, dando infine all’opinione pubblica la sua personale versione dei fatti attraverso i media che controllava.

Avrebbe potuto così vincere tutto e nello stesso tempo, evitare critiche e pesanti insinuazioni.

Avrebbe risolto inoltre, grazie al poker, tutti i suoi problemi finanziari e sarebbe passato alla storia come il giocatore più forte del mondo.

Divulgato il suo progetto, piovvero richieste di adesione da parte di tantissimi altri operatori del settore e, cosa veramente originale, anche da parte di gente che non aveva mai giocato a poker in vita sua o che lo aveva fino ad allora addirittura osteggiato.

Così la squadra crebbe e si fece sempre più forte.

E allora il Cavaliere ebbe un’ulteriore grande idea:

perché non fare entrare nella squadra anche delle belle ragazze?
Fece correre la voce tra i suoi amici e in breve furono raccolte migliaia di richieste di donne, giovani e meno giovani, ma soprattutto giovani.

Furono organizzate quindi, direttamente presso le varie residenze del Cavaliere (si vantava di averne 20), delle selezioni che videro premiate le candidate più esperte, capaci e disponibili, rendendo così la squadra, oltre che potente e agguerrita, anche bene assortita.

Quella si autodefinì   “la squadra dell’amore”.

C’era spazio per tutti, purché non venisse messa in discussione la sua leadership e che lui avesse mano libera sui tornei.
Prerequisito per poter concorrere a diventare suoi collaboratori era il fatto  che i candidati dovevano dimostrare incondizionata fedeltà o essere talmente coinvolti in affari con lui da rischiare di perdere tutto in caso fosse egli caduto in disgrazia.

Per le donne era ancora più difficile entrare nella squadra, perché, oltre al possesso del suddetto  prerequisito,  occorreva anche che  fossero di bella presenza, avessero superato una serie di test psico-attitudinali e, come se non bastasse, aver ottenuto il massimo dei voti nella prova pratica.

Posti di diritto nella squadra toccarono ai sui commercialisti, a tutti suoi avvocati, al suo arredatore, al suo medico personale, al medico di famiglia, al suo dentista, alla sua manicure, al suo podologo, al suo massaggiatore, al suo autista ed infine alla sua igienista dentale. Alcuni posti furono riservati infine agli amici degli amici.

Quindi formulò il suo programma, che prevedeva che il torneo ideale sarebbe stato quello  in cui lui stesso potesse stabilire, di volta in volta, le regole.

Il Cavaliere riuscì in breve a realizzare ciò che si era prefissato, grazie anche ad una moltitudine di ammiratori che credevano in Babbo Natale e la Befana.

Tuttavia egli non considerò alcuni  fattori.

Il primo fattore negativo furono i pessimi rapporti con i dealer dai quali, durante i tornei, non riusciva a farsi dare le carte che desiderava e che solevano riprenderlo, senza alcun rispetto reverenziale, se si metteva a raccontare barzellette (campo in cui era particolarmente dotato) nel bel mezzo di una mano.

Al riguardo, il Cavaliere asseriva di essere vittima di una persecuzione da parte dei dealer.

Il secondo fattore negativo fu l’eterno conflitto con i media, che non gliene perdonavano una.

A completare l’opera contribuivano poi le riviste di poker che trattavano i tornei cui il Cavaliere partecipava.
Nei loro commenti veniva infatti puntualmente evidenziato il basso livello di quegli eventi e dei giocatori italiani in generale, i quali non reggevano il confronto con quelli anglosassoni,  tedeschi e persino francesi.
Il Cavaliere questo non lo sopportava proprio, ed allora era solito esplodere accusando quelle riviste di essere disfattiste e di voler screditare la Nazione davanti a tutto il mondo, lamentando ancora una volta invidia ed “accanimento” contro la sua persona.

Il suo problema era quello di essersi circondato solo di gente che non osava mai contraddirlo, o per interesse o per devozione, per cui egli non era per nulla abituato a gestire la minima critica.

Per esempio, commissionava continuamente dei sondaggi per conoscere quanto grande fosse la sua fama.

Se i sondaggi non erano a lui favorevoli, accusava chi li aveva fatti di non conoscere il proprio mestiere oppure di essere in malafede.

Naturalmente i suoi fornitori si guardavano bene dal fornirgli risultati che non fossero di suo gradimento.

In sostanza, il Cavaliere si era esaltato a tal punto da ritenersi onnipotente, invincibile e persino il più amato dagli Italiani.

Ma, cosa ancor più strabiliante, era anche convinto di essere molto rispettato all’estero e perfino temuto dai giocatori più forti del mondo che invece, di fatto, ridevano di lui, soprattutto una fortissima giocatrice d’oltralpe che egli definì “culona” perché riusciva sempre a partire  con  una coppia di assi in mano nelle fasi più importanti di ogni torneo.

Era talmente convinto delle sue paranoie che i suoi schemi mentali non erano più in grado di accettare una realtà diversa da quella che lui stesso si era costruita.

L’epilogo si ebbe al tavolo finale di un torneo di particolare importanza, quando il Cavaliere, rimasto solo in un testa a testa contro un altro player si trovò in possesso di un poker d’assi.

Il Cavaliere era raggiante, sicuro di vincere e stava già esultando, con un sorriso che gli arrivava fino alle grandi orecchie, quando l’altro scoprì una scala reale.

Il Cavaliere restò di stucco e per dieci secondi non proferì parola.

Poi diventò rosso, quindi verde, per poi tornare al suo colore naturale.

Il cerone di cui era solito ricoprirsi prima di ogni apparizione pubblica gli si sciolse in viso, con un pessimo effetto.

Quindi se la prese, sgraziatamente e senza ritegno, con il dealer, reo di non avergli dato le carte giuste e cui indirizzò parolacce molto pesanti; quindi imprecò contro le riviste in cui articoli, a suo dire, avevano condizionato il dealer, portandolo a danneggiarlo; continuò poi borbottando contro il regolamento, dicendo che era obsoleto e non adatto ai tempi e che, pertanto, non poteva ritenersi più valido; infine se la prese con gli organizzatori e direttori di gioco, che peraltro erano suoi dipendenti, dicendo che rubavano lo stipendio.

Alla fine scappò via dalla sala sbattendo ogni porta che incontrava, minacciando querele.

I suoi fans, frustrati e sconcertati,  dichiararono che non avrebbero più pagato le tasse di iscrizione ai tornei.

Tornato nella sua residenza, all’apice della rabbia, in Cavaliere chiamò uno dei suoi avvocati.

 In preda al delirio, ma ancor lucido nel calcolo, gli ordinò di contattare subito il presidente del Comitato Nazionale del Poker e di offrirgli una notevole somma di denaro affinché riscrivesse immediatamente il regolamento dei tornei e stabilisse non solo che il poker batteva la scala reale, ma che la regola dovesse addirittura decorrere dal giorno prima.

L’avvocato svolse diligentemente il suo compito, ma l’esito fu negativo.

Non solo, ma sparsasi la voce dell’episodio, alcuni amici del Cavaliere  cominciarono a prenderne le distanze.

Al ricevimento delle due ferali notizie, si consumò la tragedia: egli  impazzì.

Da quel giorno egli si credette l’Unto dal Signore e cominciò a promettere che, se fosse stato eletto il miglior player del mondo, avrebbe  messo la regola che a poker, in futuro, non solo tutti avrebbero vinto, ma addirittura che  coloro che fino a quel momento avevano perso, avrebbero anche ricevuto indietro tutti soldi giocati.

Saverio Spinelli

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