Il CIS della Calabria ha organizzato L’”Orestea” di Eschilo

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imageNella suggestiva cornice serale del Chiostro della Chiesa reggina di San Giorgio al Corso, il CIS (Centro Internazionale Scrittori della Calabria) ha organizzato, nell’ambito della sezione ‘Teatro antico e cinema’, una serata dedicata all’unica trilogia del teatro greco pervenutaci per intero, l’ “Orestea” di Eschilo. Dopo aver definito l’intera trilogia come il luogo in cui Eschilo nel 458 ha sottoposto al pubblico ateniese una meditazione sulla sconfitta anche di chi vince in una guerra, con un’ analisi vibrante la prof. Paola Radici Colace, ordinario di Filologia Classica presso l’Università di Messina e Responsabile della Sezione ‘Teatro’ del CIS, ha richiamato un aspetto della trilogia, e dell’Agamennone in particolare, che per la prima volta nell’ambito occidentale ha messo a fuoco il diverso spirito con cui chi è rimasto a casa attende il ‘ritorno dell’eroe’: la guardia felice di annunziare, dopo dieci anni di turni di sorveglianza, che i fuochi di segnalazione, accesi da cima a cima dei monti, dall’Asia fino ad Argo, annunciavano la caduta di Troia; gli anziani del coro in bilico tra l’esaltazione della vittoria e il suo costo umano; Clitennestra, in un doppio gioco metateatrale, nella parte della moglie rimasta fedele custode della casa durante l’ assenza del marito. Ma sotto la pellicola di festa e di gioia, emergono il rammarico per i morti, il sacrificio di Ifigenia per propiziare i venti favorevoli alla partenza per l’impresa, le navi di Menelao disperse, l’infedeltà di Clitennestra, il disfacimento e l’invecchiamento della coppia reale: nei dieci anni di guerra, la donna si è abbrutita in una gestione ‘maschile’ della casa e nell’infedeltà, e l’uomo si è degradato nelle fatiche del lungo assedio e nelle orge dei soldati. I loro volti dimostrano che la guerra è crudele per tutti, anche per chi vi sopravvive, e che corrompe tutto, con un degrado irreversibile del tempo perduto, dei sentimenti, delle vite comunque distrutte. Tutti questi richiami costruiscono la rete che prepara lo spettatore alla ‘catastrofe’ dell’eroe: nel giorno del ritorno tra il suo popolo e quindi della massima gloria, in un contrasto che ribalta tutto il significato della sua vita, Agamennone incontrerà una morte non gloriosa, nella vasca da bagno, per mano della moglie e del suo amante Egisto. Gli altri due drammi, presentano morti dovute dal copione di stragi e di sangue che avvolge la casa degli Atridi sin dal ‘fiero pasto’di Tieste: Oreste ucciderà la madre su ordine del dio Apollo per vendicare il padre (Coefore), ma sarà a sua volta perseguitato dalle Erinni, divinità infernali ed uterine della religione matriarcale, che ne richiedono la morte (Eumenidi). Soltanto una dea nata senza madre, dalla testa del padre, una vergine guerriera declinata con tratti maschili, determinerà positivamente la sorte di Oreste, gettando la sua spada sul piatto della bilancia della giustizia e facendolo pendere a favore dell’assoluzione. La distruzione si è allargata fino a distruggere tutta la famiglia dei ‘vincitori’, lasciando una sola creatura ai margini di questa follia, Elettra, costretta comunque ad una vita da vinta e ad un lutto senza fine, riassunto da O’Neill nel titolo “Il lutto si addice ad Elettra”. Le emozioni forti suscitate dalla relazione sono continuate nel corso della proiezione del video curato per l’occasione dal prof. Nicola Petrolino, esperto e critico di cinema, responsabile della sezione ‘Cinema’ del Cis della Calabria. Facendo una scelta oculata sul materiale filmico esistente, il prof. Petrolino ha proposto l’edizione televisiva diretta da Mario Ferrero (andata in onda il 9-16-23 Settembre 1966), con un cast di attori di primissimo piano, di cui facevano parte Sarah Ferrati, Giulio Bosetti, Ave Ninchi. Con una felice convergenza, i brani scelti sono andati a dare corpo e immagine alle parole, mettendo in evidenza la peculiarità del mezzo televisivo di giocare con l’espressività dei volti e con i primi piani, che il teatro, con le sue distanze dallo spettatore, rende impossibile. Questi volti nel teatro greco, in cui attori maschi recitavano anche in parti femminili, erano completamente coperti da maschere, con la stessa espressione tragicamente uguale dall’inizio alla fine del dramma: un teatro in cui questa fissità espressiva era compensata dal fatto che lo spettatore conosceva già i ‘fatti’ e la sfida dell’autore consisteva in una nuova, abile riscrittura della saga. I due relatori hanno movimentato anche un ricco e vivace dibattito, segno dell’interesse del tema proposto dal CIS e dalla sua presidente, dott. Loreley Rosita Borruto. di proporre

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