Reggio, operazione ‘Saggezza’: clan guidati dalla ‘Corona’ con al vertice un anziano ‘uomo d’onore’, Vincenzo Melia

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I cinque “locali” dei comuni reggini di Antonimina, Ardore, Canolo, Cimina’ e Cirella di Plati’, erano guidati dalla “Corona”: un’articolazione territoriale della ‘ndrangheta basata sull’assegnazione di “cariche” e di funzioni specifiche. Al suo vertice un anziano “uomo d’onore”, Vincenzo Melia, affiancato da Luigi Varacalli e dai due suoi piu’ stretti consiglieri, Nicola Romano e Nicola Nesci. Vengono alla luce tutti i dettagli sull’operazione “Saggezza“, che ha portato in carcere 39 persone accusate, a vario titolo, di aver condizionato appalti ed iniziative economiche nelle zone d’influenza dei clan mafiosi d’appartenenza.
Tale organizzazione ricopriva la funzione di riunire le ‘ndrine dei centri meno importanti per dare loro, in tal modo, un peso maggiore di quello che avrebbero avuto singolarmente, nell’ambito criminale della ‘ndrangheta.

Per tale motivo – si legge nell’ordinanza – al suo vertice era posta una “personalita’ autorevole”, dall’indiscusso spessore criminale, che potesse quindi confrontarsi alla pari con i capi delle cosche e dei “locali” piu’ importanti, non tanto per “peso specifico”, che, come gia’ descritto, proprio per la peculiarita’ che contraddistingue la criminalita’ calabrese, vede i capi, ai vari livelli, sullo stesso piano, ma per capacita’ finanziarie e militari“. L’assegnazione delle “doti” avvenuta in epoca precedente all’inizio delle indagini si era rivelata pero’ costellata da errori e ripensamenti, al punto che Vincenzo Melia era piu’ volte tentato di fare un passo indietro e riassegnare alcune cariche all’interno dell’associazione. Nicola Romano, dal canto su,o svolgeva la sua funzione di “consigliere” e placava piu’ volte le ire dell’anziano “capo corona”, suggerendo di lasciare le cose cosi’ come erano state decise in principio, anche perche’ aveva valutato la possibile reazione negativa degli altri consociati. Le indagini avrebbero dimostrato che il rapporto di affiliazione tra i vari consociati, in primis tra i “capi locali” e, in secondo luogo, tra i componenti di ciascun locale, “caratterizzava molti aspetti sia della loro sfera personale che di quella lavorativa“.

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